A quel tempo soprattutto nella provincia della Liguria scoppiò all'improvviso una pestilenza. Subito infatti si mostravano alcuni segni sulle case, le pareti, i vasi o sui vestiti e che se si volevano lavare via si facevano ancora più grandi. Trascorso un anno iniziarono a svilupparsi nell'inguine degli uomini o in altre articolazioni delle ghiandole grandi come noci o datteri, seguite subito dopo da una febbre così insopportabile che un uomo giungeva alla morte in tre giorni. Se però qualcuno riusciva a superare i tre giorni, aveva speranza di sopravvivere. Ovunque erano lutto e lacrime. Infatti, come si diceva tra il popolo, si fuggiva per evitare la calamità e si lasciavano le case senza abitanti così che restavano solo i cani a custodirle. I terreni coltivabili si convertivano in pascoli privi di pastore. Villaggi e fortezze che un tempo erano famosi per essere pieni di moltitudini di uomini, il giorno seguente rimanevano in totale silenzio perché tutti se ne erano andati. I figli fuggivano, lasciando insepolti i cadaveri dei genitori; genitori senza pietà abbandonavano i corpi dei neonati ancora caldi. Se per caso l'antica pietà ancora toccava qualcuno, che voleva seppellire i suoi congiunti, restava egli stesso insepolto. E al mostrare rispetto, moriva, così come al celebrare le esequie restava egli stesso senza funerale. Avresti visto il mondo riportato al silenzio antico: nessuna voce nelle campagne, nessun fischio dei pastori, nessuna fiera in agguato del bestiame, nessun danno agli uccelli domestici. Passato il tempo del raccolto le piantagioni aspettavano intatte il mietitore; le viti, lasciati cadere i grappoli brillanti, restavano intatte mentre si avvicinava l'inverno. Sia di giorno che di notte risuonava la tromba della guerra, molti udivano quasi il rumore di un esercito. Non c'erano segni di passanti, non si distingueva alcun assassino e ciò nonostante i cadaveri dei morti erano molti di più degli occhi che potevano vederli. I campi si trasformavano in luoghi di sepoltura per gli uomini e le case in rifugi per le bestie selvagge. Questa piaga si abbatté sul territorio romano dell'Italia fino ai confini con i popoli degli Alemanni e dei Bavari. Nel frattempo il principe Giustiniano giunse al termine della sua vita e Giustino II raccolse il governo dello Stato a Costantinopoli. A quel tempo anche il patrizio Narsete, che si stava dedicando interamente agli studi, condannò all'esilio in Sicilia, Vitale, vescovo di Altino, una volta catturatolo, che alcuni anni prima si era rifugiato presso i Franchi, nella città di Aguntum (Innichen).
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