Capitolo 28

A quel punto Childeberto e Teodeberto messo in marcia l’esercito, si disposero ad attaccare Clotario. Questi, informato, e credendo di non essere in grado di resiste al loro esercito, si ritirò in una foresta. Qui tagliò molti alberi e confidò tutte le sue speranze in Dio. La regina Clotilde, saputolo, si recò presso il sepolcro del beato Martino e qui si ritirò in adorazione e stette tutta la notte sveglia pregando che non scoppiasse la guerra civile tra i suoi figli. I due re quindi giunsero e assediarono Clotario e cercarono di ucciderlo il giorno seguente. Quindi, giunto il mattino, scoppiò una tempesta nel luogo in cui erano riuniti, che divelse le tende, distrusse le macchine d’assedio e ogni cosa. Scesero quindi su di loro un misto di fulmini, tuoni e pietre. Colpiti dalla grandine si gettano faccia a terra e abbattuti dalle pietre venivano colpiti duramente - infatti non avevano alcun riparo tranne lo scudo al punto che avevano paura di essere cremati dal fuoco celeste. Quindi i loro cavalli furono tanto dispersi che a stento poterono recuperarli a venti stadi e molti non furono recuperati affatto. A quel punto, come abbiamo detto, colpiti e abbattuti al suolo dai lapilli, fecero penitenza e chiesero perdono a Dio, per aver voluto prendere le armi contro il loro stesso sangue. Ma su Clotario non cadde né una goccia di pioggia o fu udito alcun rombo di tuono o fu udito alcun soffio di vento. I Re quindi gli inviarono un ambasciatore per chiedere la pace. Accordatala, ritornarono in patria. Senza dubbio questo fu ottenuto per la richiesta della Regina al beato Martino.